Origine nel cervelletto delle connessioni cognitive

 

 

ROBERTO COLONNA

 

 

NOTE E NOTIZIE - Anno XVIII – 23 gennaio 2021.

Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia” (BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei soci componenti lo staff dei recensori della Commissione Scientifica della Società.

 

 

[Tipologia del testo: RECENSIONE]

 

Il cervelletto, descritto in anatomia umana per la prima volta nel XVII secolo e studiato nell’organizzazione citoarchitettonica topografica all’inizio del secolo scorso, è stato a lungo considerato una struttura implicata nell’equilibrio, nella coordinazione motoria, nella postura, nella regolazione della durata dei treni di scarica dei nuclei della base telencefalica e nella temporizzazione dei movimenti rapidi ed esplosivi. Fin quasi alla fine del ventesimo secolo, la maggior parte dei neurofisiologi escludeva, sulla base degli effetti di lesioni distruttive ed ablazioni chirurgiche, una partecipazione di questa importante sezione del sistema nervoso centrale all’elaborazione di processi direttamente connessi con le attività cognitive, affettive ed emozionali, sia nella componente intrapsichica sia relazionale.

Alcune caratteristiche della sua struttura regolare e ripetitiva avevano suggerito da molto tempo un ruolo nell’amplificazione di processi di base e Gerald Edelman già negli anni Ottanta lo includeva tra gli “organi di successione” del sistema nervoso centrale ma, sebbene sia stato studiato a lungo come partner della corteccia cerebrale, si sono dovuti attendere studi di neuroimmagine funzionale che hanno documentato la sua partecipazione a un lungo elenco di processi, anche se con ruoli in gran parte ancora poco definiti. L’atrofia vermiana e di parte degli emisferi cerebellari in un’elevata percentuale di pazienti affetti da disturbi dello spettro dell’autismo, l’accurata indagine neurocognitiva di pazienti con ipo-displasia del cervelletto, con parziale agenesia e lesioni acquisite in età adulta, hanno fornito indicazioni significative per tracciare nuovi profili di ruoli e programmare studi ulteriori. In particolare, non si dubita più della partecipazione di questa formazione della fossa cranica posteriore a compiti cognitivi complessi.

Mary E. Hatten, del Laboratorio di Neurobiologia dello Sviluppo della Rockefeller University, nel fascicolo del 18 dicembre 2020 di Science presenta uno studio di Justus M. Kebschull e numerosi colleghi che hanno identificato un elemento chiave per la comprensione dell’evoluzione filogenetica dei nuclei cerebellari e delle particolari connessioni con la corteccia cerebrale umana.  Kebschull e colleghi dimostrano che i nuclei del cervelletto si sono evoluti nella storia animale mediante la duplicazione ripetuta di un ben identificato set di neuroni conservato nella filogenesi, e lo sviluppo più recente è strettamente connesso con l’espansione delle facoltà cognitive.

(Kebschull J. M., Cerebellar nuclei evolved by repeatedly duplicating a conserved cell-type set. Science 370 (6523): eabd5059, 18 December, 2020).

La provenienza degli autori è la seguente: Department of Biology, Neurosciences Program, Department of Bioengineering, Department of Neurology and Neurological Sciences, Department of Psychiatry and Behavioral Sciences, Department of Neurosurgery, and Center for Biomedical Engineering and Technology, Department of Applied Physics, Stanford University, Stanford, CA (USA); Department of Animal Science, University of California, Davis, CA (USA).

Alcune nozioni di anatomia descrittiva del cervelletto sono state fornite in un nostro recente articolo, al quale si rimanda[1]; qui ricordiamo che all’interno della struttura le lamine midollari confluiscono formando una massa di sostanza bianca centrale che contiene i tipici quattro nuclei pari: dentato, globoso, emboliforme e nucleo del tetto.

Il nucleo dentato è il più grande e laterale dei nuclei, e si presenta come una lamina di neuroni irregolarmente ripiegata, che racchiude una massa di fibre principalmente costituite da assoni e dendriti dei neuroni dentati; queste cellule sono di media grandezza (20-30 micron). La sua forma ricorda quella di una borsetta di pelle con l’apertura rivolta in direzione mediale, e corrispondente all’ilo del nucleo che contribuisce alla costituzione del peduncolo cerebellare superiore.

Il nucleo globoso (o n. posteriore interposto) è sito medialmente al nucleo emboliforme ed è continuo con il nucleo del tetto. Come gli assoni del nucleo dentato e dell’emboliforme le fibre dei suoi neuroni entrano nella costituzione del peduncolo cerebellare superiore.

Il nucleo emboliforme (o n. anteriore interposto) è laterale al nucleo globoso e si continua lateralmente con il nucleo dentato.

Il nucleo del tetto è localizzato in prossimità della linea mediana, al margine del tetto del quarto ventricolo. I neuroni di questo nucleo sono prevalentemente di grandi dimensioni (40-70 micron) e una gran parte dei loro assoni incrocia nella sostanza bianca della commessura cerebellare[2]. Dopo la loro decussazione, costituiscono il fascicolo uncinato che passa dorsalmente al peduncolo cerebellare superiore per giungere al nucleo vestibolare del lato opposto. Le fibre che non incrociano entrano nel nucleo vestibolare omolaterale; un piccolo contingente ascende verso il peduncolo cerebellare superiore.

I cervelli degli animali esistenti si sono evoluti nel corso di centinaia di milioni di anni, a partire da circuiti molto semplici costituiti da poche cellule nervose; dalle cellule eccitabili primordiali si sono andati differenziando nel corso della filogenesi tipi neuronici con specifici profili funzionali, poi è cresciuto sempre più il numero di elementi cellulari e la complessità, oltre che la quantità, delle connessioni consentendo progressivamente l’emergere di nuove regioni cerebrali. I modelli dell’evoluzione delle strutture encefaliche vanno dalla duplicazione delle regioni primordiali alla segmentazione di strutture multifunzionali, e includono l’assemblaggio de novo di tipi cellulari preesistenti. Nessuno di questi modelli ha finora avuto una conferma di validità reale al livello di risoluzione per tipo cellulare nel cervello dei vertebrati. Lo studio qui recensito ha indagato l’evoluzione delle regioni cerebrali assumendo come sistema modello i nuclei del cervelletto.

Mary Hatten così sintetizza i risultati del lavoro di Justus M. Kebschull e colleghi: dimostra che i nuclei del cervelletto si sono evoluti dagli amnioti agli esseri umani mediante la duplicazione di “sub-nuclei” consistenti in due classi di neuroni eccitatori e tre classi di interneuroni inibitori; la classe di cellule eccitatorie del nucleo laterale che proietta alla corteccia frontale nel topo ed è interessata nei disturbi dello spettro dell’autismo (ASD, da autism spectrum disorders) è predominante nel cervelletto umano che è enormemente più sviluppato in proporzione. La sperimentazione ha fornito dati molecolari a sostegno degli studi che hanno dimostrato un ruolo del cervelletto nella fisiologia cognitiva, in particolare modulando il circuito a ricompensa dopaminergico, il linguaggio e il comportamento sociale.

I nuclei del cervelletto sono stati il punto di partenza dello studio. Tali formazioni grigie possono essere definite sub-strutture che trasferiscono informazioni elaborate nel cervelletto da questa sede ad altri territori dell’encefalo. Kebschull e colleghi, adoperando la trascrittomica delle singole cellule, hanno identificato un pattern di struttura dei nuclei cerebellari conservato fra le specie che appare ripetuto nel corso dell’evoluzione. È emerso che dal topo all’uomo, passando per i polli, le formazioni nucleari del cervelletto sono costantemente costituite da ben individuabili neuroni eccitatori specifici per la regione e interneuroni inibitori invarianti da una regione all’altra. Un elemento caratteristico della specie umana è il notevole sviluppo della connessione di questi aggregati grigi con la corteccia cerebrale del lobo frontale.

 

L’autore della nota ringrazia il professor Giovanni Rossi per le nozioni di neuroanatomia del cervelletto e invita alla lettura delle recensioni di argomento connesso che appaiono nella sezione “NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).

 

Roberto Colonna

BM&L-23 gennaio 2021

www.brainmindlife.org

 

 

 

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[1] Note e Notizie 26-09-20 La corteccia del cervelletto umano è sorprendente.

[2] È interessante notare che non si tratta di fibre commissurali come quelle del cervello, dove il corpo calloso, ad esempio, connette punti omotopici dei due emisferi. Anche se si chiamano commissurali, le fibre del cervelletto semplicemente attraversano la linea mediana, ma hanno una diversa identità morfo-funzionale.